La pasta al ragù, quella che piaceva anche al porcospino di Montale.

Una cosa che non passa mai di moda, un sugo per cui le parole dette sono sempre eccessive. Tra chi ne rivendica la paternità e chi urla al mondo di detenerne l’unica e vera ricetta. Quanta tenerezza, quanta leggerezza.

Una ricetta di casa, quella del ragù, per cui ne esistono probabilmente milioni di versioni, ma pur sempre ci rivolgiamo ad essa come fosse una sola. Leggerezze.

Ma lo ammetto: pure io lo preparo in un solo modo, da sempre.

Tagliatelle al ragù (il mio ragù) è un posto bellissimo; è mani unte nel tentativo di sgranare la salamella nostrana di suino, da aggiungere alla carne di manzo. È profumo di carota e cipolla quando si fa il soffritto; è profumo di carne cotta, asciutta. È profumo di vino rosso, con l’alcol che evapora piano piano. È pomodoro, con cui cuocere lentamente la carne per quasi 1 ora. È dolcezza, data dalla polpa di pomodoro cotta, ma anche sapidità, che dona al sugo equilibrio. È grassezza, a ricordare la provenienza delle carni e l’aggiunta del suino, che lo rende rustico e racconta delle mie origini.

È ruvidezza, quella della tagliatella; è tenacità, della pasta all’uovo cotta al punto.

Tagliatelle al ragù è un posto bellissimo.

Parole e foto di Lara Abrati

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